THE BORDER
Suggestivo, persino arrischiato questo confronto che Vincenzo Montella propone nella mostra The border, di cui sono protagonisti un artista macedone, Zoran Poposki, e un artista italiano, Michele D’Alterio. A primo sguardo infatti sembrerebbe non esservi raccordo tra le due esperienze espressive, quella di taglio surreale e concettuale di D’Alterio e quella più astratta e espressionistica di Poposki. In realtà i due stili esplorano due modalità differenti della tensione emotiva, ma sono segnate da una analoga dinamica psichica. L’artista macedone usa una energia gestuale e astratta, legata alla evocazione del colore ma anche al segno, entro una costruzione di piani che si dispongono a strati, da cui emergono forme non di rado figurative, in cui si notano interventi più razionali, frasi, scritte, sviluppi letterari, che l’artista sovrappone all’immagine, provocatoriamente. D’Alterio invece si muove in una regione più intima e turbata, in uno spazio interiore, in cui però ricompone un universo in apparenza realistico e tuttavia lontano dalla superficie del visibile, confinato nelle regioni profonde della psiche. Così le sue suggestioni visive, le sue superfici materiche, le sue tensioni simboliche, i suoi cromatismi intensi e visionari rimandano ad un mondo onirico e surreale: di un surrealismo tuttavia che non proviene dal sogno, ma è ricostruzione lucida, seppure passionalmente carica, sospesa tra elaborazione concettuale e spessore emotivo.
MICHELE D'ALTERIO
L’arte di Michele D’Alterio si è sempre nutrita di densi rimandi simbolici, di atmosfere vigilate tra realtà e sogno, rese non solo sul piano espressivo, per ciò che l’immagine evoca emotivamente e psicologicamente, ma anche sul piano formale e concettuale. Anzi la proprietà del linguaggio dell’artista, fin dalle sue prime prove, di taglio surreale - spazi di un universo di forme fantastiche in cui il simbolo onirico è carico di indizi psicologici e poetici - sembra risiedere proprio in quel suo lavorare la materia con un orizzonte allusivo realistico, ma sotto la spinta di una intrinseca capacità visionaria, connessa con lo stesso disvelarsi suggestivo della materia, in quanto scenario tridimensionale di evocazioni riflesse nell’ inconscio. I suoi “paesaggi” non sono semplicemente surreali, non alludono solo ad una realtà turbata e fantastica, tutta interiore, confinata fuori dal tempo, ma hanno il timbro, vorrei dire il mistero e la magia di una dimensione dell’essere e del sentire nascosta e solenne, che si dispiega senza rumore, nel più assoluto silenzio. Forme evidenti anche nel loro rilievo materico si aprono a spazi tridimensionali, interiori, misteriosi, spesso inquietanti, sempre profondi. Anche l’aspetto più propriamente tecnologico dell’arte di D’Alterio è interessante: l’uso dei materiali, la loro sovrapposizione, la loro sperimentazione E solo in apparenza le cose più recenti, quelle della presente mostra, possiedono un taglio più concettuale, giocato sulla bivalenza, sul dualismo simbolico ed emotivo, di realtà contrapposte, il bianco e il nero, il bene e il male, il grande e il piccolo. Solo in apparenza cioè lo spazio assume connotati esterni, riconoscibili dalle allusioni dirette ad esempio ad una croce o a un tessuto cellulare. In realtà si tratta sempre di regioni interne della vita, di sguardi interiori, di spazi tramati nel silenzio di un universo colto e specchiato nel chiuso della coscienza sensibile. Deriva di qui il fascino delle sue opere, che tra l’altro conservano l’intensità anche tattile e lo splendore lucente della sua produzione più materica. L’arte si configura come viaggio intrapsichico, come attraversamento dell’anima. Dove appunto si coniugano senza fatica il vicino e il lontano, il presente e l’assente, il contingente e l’assoluto.

Giorgio Agnisola